Notre-Dame de Paris by Victor Hugo

Notre-Dame de Paris by Victor Hugo

autore:Victor Hugo [Hugo, Victor]
La lingua: ita
Format: epub, azw3
editore: Garzanti
pubblicato: 2013-02-07T23:00:00+00:00


II • Prete e filosofo non sono la stessa cosa

Il prete che le fanciulle avevano notato sulla cima della torre settentrionale, affacciato verso la piazza e così attento alla danza della zingara, era effettivamente l’arcidiacono Claude Frollo.

I nostri lettori non hanno certo dimenticato la misteriosa cella che l’arcidiacono si era riservato in questa torre. (Non so, e lo dico di sfuggita, se è la stessa di cui ancora oggi si può vedere l’interno da una finestrella quadrata, aperta a levante ad altezza d’uomo, sulla piattaforma da cui si slanciano le torri: un bugigattolo, ora spoglio, vuoto e in rovina, i cui muri scalcinati sono ornati qua e là, attualmente, da alcune brutte incisioni gialle che rappresentano facciate di cattedrali. Presumo che questo buco sia abitato in concorrenza dai pipistrelli e dai ragni, e che di conseguenza vi avvenga una doppia guerra di sterminio alle mosche).

Ogni giorno, un’ora prima del tramonto, l’arcidiacono saliva la scala della torre, e si richiudeva in questa cella, dove a volte passava intere notti. Quel giorno, nel momento in cui, giunto dinanzi alla bassa porta dello sgabuzzino, introduceva nella serratura la complicata chiavetta che portava sempre con sé nella scarsella appesa al fianco, un suono di tamburello e di nacchere gli era giunto all’orecchio. Quel suono veniva dalla piazza del Sagrato. La cella, l’abbiamo già detto, aveva solo una finestrella che dava sul tetto della chiesa. Claude aveva ripreso in tutta fretta la chiave, e un istante dopo era sulla cima della torre, nell’atteggiamento cupo e raccolto in cui le damigelle lo avevano scorto.

Rimaneva là, grave, immobile, assorbito in uno sguardo e in un pensiero. Tutta Parigi era sotto i suoi piedi, con le mille guglie dei suoi edifici e il suo orizzonte circolare di molli colline, con il suo fiume che serpeggia sotto i ponti e la sua folla che ondeggia per le strade, con la nuvola dei suoi fumi, con la catena montuosa dei suoi tetti che stringe Notre-Dame con doppie maglie. Ma in tutta questa città, l’arcidiacono guardava solo un punto del selciato: la piazza del Sagrato; in tutta quella folla, solo una figura: la zingara.

Sarebbe stato difficile dire di quale natura fosse quello sguardo, e da dove venisse la fiamma che ne usciva. Era uno sguardo fisso, eppure pieno di turbamento e di tumulto. E dalla profonda immobilità di tutto il suo corpo, appena agitato a intervalli da un fremito meccanico, come un albero al vento, dalla rigidità dei suoi gomiti più immobili del marmo della balaustra su cui poggiavano, a veder il sorriso pietrificato che contraeva il suo volto, si sarebbe detto che Claude Frollo avesse di vivo solo gli occhi.

La zingara danzava. Faceva girare il suo tamburello sulla punta del dito, e lo lanciava in aria ballando sarabande provenzali, agile, leggera, gaia e insensibile al peso del terribile sguardo che le cadeva a piombo sulla testa. La folla le brulicava attorno; ogni tanto, un uomo intabarrato in una casacca gialla e rossa faceva disporre il pubblico in cerchio, poi tornava



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